Promuovere la diversità – Sister Distribution

Promuovere la diversità – Sister Distribution

28.02.2023 – 04.04.2023

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Per la prima volta i circoli del cinema ticinesi propongono una rassegna non dedicata ad un regista, ad un attore o ad una tematica specifica, bensì ad un distributore, nella fattispecie la Sister Distribution di Ginevra. Scorrendo la lista dei film scelti si evince la qualità degli stessi. La Sister ha in catalogo film di grandi registi quali Ryûsuke Hamaguchi, Hong Sang-soo, Albert Serra, Kelly Reichardt e tanti altri. Ecco spiegato il motivo per cui si è scelto questo distributore. Sono 13 le pellicole che passeranno nelle quattro sale ticinesi. La fetta più grossa al GranRex di Locarno.

Distribuzione: il cuore della lotta del cinema tra economia e arte

Il distributore è al centro della lotta storica che da sempre lacera il cinema: il conflitto tra la sua dimensione economica e quella artistica. “Il cinema ha la particolarità di essere sia un’arte, sia un’industria, fin dai suoi albori. E un’industria che ha il potere di generare un sacco di soldi. Quindi il cinema è davvero un’economia “, spiega Abel Davoine direttore della Sister Distribution. E in questo contesto, l’avidità di solito ha la precedenza sull’amore per il cinema come arte. Questa mentalità ha l’effetto di ridurre significativamente la diversità dei film offerti nelle sale cinematografiche. Invece di evolversi, tende a ristagnare e riciclare gli stessi generi che si sono affermati in passato.

Il lavoro di Sister Distribution: promuovere la diversità

Fortunatamente l’istinto economico non domina interamente la sfera della distribuzione cinematografica. Qua e là persistono isole di resistenza che continuano a credere che il cinema abbia una vocazione al di là di una semplice remunerazione economica. Abel, insieme alla società Sister Distribution, sta cercando di condurre questa lotta nella regione del Lago Lemano. La società è stata fondata nel 2017 su iniziativa dei registi della società di produzione ginevrina Close Up Films, che hanno chiamato Abel Davoine a distribuire i loro film. Dopo qualche tempo, Davoine trovò più interessante rendere autonoma la sua attività. Molto rapidamente, la sua intenzione è stata chiara: dare priorità alla diversità dei film proiettati piuttosto che al loro potenziale commerciale. Per Davoine un film è molto più di un prodotto economico. “Quello che mi interessa come spettatore è che un film abbia una singolarità, una forza propria. Sia nella commedia che in un altro genere”. Abel Davoine è convinto che anche l’offerta possa avere un ́influenza sulla domanda, che non sia solo il mercato e le sue mode passeggere ad avere il potere di determinare il genere dei film che hanno accesso alle sale cinematografiche.

(Redatto sulla base di un’intervista di Lucas Millet ad Abel Davoine pubblicata su EPIC)

Giancarlo De Bernardi Circolo del Cinema di Locarno

 

Mercoledì 1 marzo, ore 20.45

LES AMANDIERS

di Valeria Bruni Tedeschi

Regia, sceneggiatura e dialoghi: Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Lvovsky e Agnès De Sacy; Fotografia: Julien Poupard; Musica: François Waledisch; Montaggio: Anne Weil. Interpreti: Nadia Tereszkiewicz, Sofiane Bennacer, Louis Garrel, Micha Lescot, Clara Bretheau, Noham Edje, Vassili Schneider, Eva Danino, Liv Henneguier, Baptiste Carrion-Weiss, Léna Garrel, Sarah Henochsberg, Oscar Lesage; Produzione: Bibi Film TV e Arte France Cinema
Colore, v.o. francese; st. italiano; 125’
Miglior film Festival di Namur 2022

Seconda metà degli anni ’80: Stella, Etienne, Adèle e tutta la troupe hanno vent’anni. Hanno superato l’esame di ammissione della famosa scuola creata da Patrice Chéreau e Pierre Romans al Théâtre des Amandiers di Nanterre. Lanciati a tutta velocità nella vita, nella passione, nel gioco, nell’amore, insieme vivranno la svolta della loro vita, ma anche le loro prime grandi tragedie.

Coadiuvata allo script da Noémie Lvovsky, Valeria Bruni Tedeschi non prende parte al film come attrice (ed è la prima volta che accade in un’opera che dirige), ma dimostra di aver raggiunto una piena consapevolezza del mezzo soprattutto grazie ad una direzione attoriale che sfiora la perfezione. È un film che non retrocede mai di un millimetro, Les amandiers, imperfetto ma vivo, divertente e triste, trascinante nella scelta di alcune canzoni diegetiche e non (su tutte Le chanteur di Daniel Balavoine, urlata a squarciagola dentro la macchina), di certo atto d’amore verso la scuola e il maestro che l’ha formata (facendola peraltro esordire al cinema con Hôtel de France nell’87), non per questo ritratto apologetico di un uomo, Chéreau, che nella caratterizzazione del sempre bravo Garrel, trova anche sfaccettature di uomo non necessariamente “esemplare”. È l’ulteriore conferma della bontà di un’operazione nostalgia che però non cede mai al ricatto emotivo, magari “sottrae” poco ma – in un certo senso – rispecchia a 360° le caratteristiche della donna, regista, attrice, che abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare nel corso degli anni. Bello, vivo.

(da Valerio Sammarco, www.cinematografo.it)

 

Mercoledì 8 marzo, ore 20.45

WHEEL OF FORTUNE AND FANTASY (Gûzen to sôzô)
di Ryûsuke Hamaguchi

Giappone 2021
Sceneggiatura: Ryûsuke Hamaguchi; Fotografia: Yukiko Iioka; Suono: Akihiko Suzuki e Naoki Jono; Interpreti: Kotone Furukawa, Ayumu Nakajima, Hyunri, Kiyohiko Shibukawa, Katsuki Mori, Shouma Kai, Fusako Urabe, Aoba Kawai…
Produzione: Neopa e Fictive
Colore, v.o. giapponese; st francese; 121’
Gran premio della giuria Orso d’argento Berlino 2021; Miglior regia Chicago Film Festival 2021; Menzione speciale Festival Haifa 2021

Un triangolo amoroso inaspettato, un tentativo di seduzione che va storto e un incontro nato da un malinteso. La traiettoria di tre donne che dovranno fare una scelta… Queste tre storie sono state concepite come le prime tre di una serie di sette storie a tema “coincidenza e immaginazio- ne”. La coincidenza mi ha sempre interessato. Mostrare la coincidenza è un modo per affermare che la rarità è l’essenza del mondo, più della realtà stessa. Mi sono reso conto di come esplorare questo tema offrisse prospettive narrative imprevedibili. Lasciatevi sorprendere dall’inaspettato del mondo. (Ryûsuke Hamaguchi)

Nel film di Hamaguchi c’è un Paese rigido che soffoca la spontaneità e che viene liberato tramite un’estetica controllata e minimale. Una semplicità di linguaggio rohmeriana attenta alle storie del quotidiano e una modalità di racconto che sfrutta la grande capacità di costruire storie tra- mite dialoghi brillanti. Un cinema totalmente delegittimato dal bisogno di dover per forza di cose spiegare i sentimenti umani. Un’estetica che si fa forte della scrittura e delle interpretazioni. Una regia che utilizza il fuoricampo e che allo stesso tempo non ha paura di svelare la presenza della macchina tramite zoom improvvisi. Il mezzo serve per mettere in scena racconti morali e avere finalmente una seconda possibilità per tutte le occasioni mancate nel reale. (da Carmelo Leonardi, www. Sentieriselvaggi.it)

 

Mercoledì 15 marzo, ore 20.45

DRIVE MY CAR (Doraibu mai kâ)
di Ryûsuke Hamaguchi

Giappone 2021
Sceneggiatura: Ryûsuke Hamaguchi e Takamasa Oe; fotografia: Hidetoshi Shinomiya; Suono: Izuta Kadoaki e Miki Nomura; Montaggio: Azusa Yamazaki; Musica: Eiko Ishibashi; Interpreti: Hidetoshi Nishijima, Tôko Miura, Masaki Okada, Reika Kirishima, Park Yurim, Jin Daeyeon; Produzione: Teruhisa Yamamoto
Colore, v.o. giapponese; st italiano; 178’
Oscar 2022 per il miglior film straniero; Premio per la miglior sceneggiatura, Premio FIPRESCI e Premio Giuria ecumenica, Cannes 2021

Tratto da un racconto di Haruki Murakami, narra le vicissitudini di Yûsuke Kafuku, un attore e regi- sta, che ha da poco perso la moglie per un’emorragia cerebrale ed accetta di trasferirsi a Hiroshi- ma per gestire un laboratorio teatrale. Qui, insieme a una compagnia di attori e attrici che parla- no ciascuno la propria lingua (giapponese, cinese, filippino, anche il linguaggio dei segni), lavora all’allestimento dello Zio Vanja di Anton Cechov. Abituato a memorizzare il testo durante lunghi viaggi in auto, Kafuku è costretto a condividere l’abitacolo con una giovane autista: inizialmente riluttante, poco alla volta entra in relazione con la ragazza e, tra confessioni e rielaborazione dei traumi (nel suo passato c’è anche la morte della figlia), troverà un modo nuovo di considerare sé stesso, il proprio lavoro e il mondo che lo circonda.

Hamaguchi regala al pubblico un’opera che è pura poesia. Un dramma esistenziale che com- muove e ci trasporta sulla scia del rumore sordo di un’auto sempre in moto. Drive My Car senza dubbio è segno di un cinema autoriale raccolto e umile. Una nuova visione poetica che ama rac- contare la complessità della vita nella forma più semplice ed efficace possibile.

(da Aldo Pisano, www.anonimacinefili.it)

 

Mercoledì 22 marzo, ore 20.45

FIRST COW

di Kelly Reichardt

Stati Uniti 2019

Sceneggiatura: Kelly Reichardt e Jonathan Raymond; Fotografia: Christopher Blauvelt; Montaggio: Kelly Reichardt; Musica: William Tyler; Interpreti: John Magaro, Toby Jones, Ewen Bremner, Orion Lee; Produzione: FilmScience e IAC Films
Colore, v.o. inglese; st francese; 121’
Tra i 28 premi: Pardo d’onore a Kelly Reichardt Locarno 2022; Miglior film Cahier du cinéma 2021; Miglior film Festival Gijon 2021; Miglior sceneggiatura Denver Film Critics 2021

Intorno al 1820, Cookie Figowitz, un esperto cuoco solitario e taciturno, viaggia verso Ovest e alla fine si unisce a un gruppo di cacciatori nel profondo dell’Oregon. Lì, fa amicizia con King-Lu, un immigrato di origine cinese, che pure sta cercando di fare fortuna. Uniranno rapidamente le forze per creare una piccola attività di successo, utilizzando una mucca da latte, molto apprezzata da un ricco proprietario locale, per fare torte.

Chi segue la parabola del cinema indipendente americano sa che l’autrice di First Cow, Kelly Reichardt, è un punto di riferimento inevitabile per una serie sconfinata di autori più recenti. Dopotutto, nel corso di una carriera venticinquennale (sette lungometraggi, inclusi due autentici capolavori come Old Joy e Meek’s Cutoff), la regista di Miami ha costruito un suo personalissimo linguaggio cinematografico, una sorta di Neorealismo che attinge tanto da Roberto Rossellini quanto da Mike Flanagan, con l’obiettivo di indagare le dinamiche sociali e culturali dell’America contemporanea, senza rincorrere opere di “denuncia sociale”.

(da Daniele Lombardi, www.anonimacinefili it.)

 

28.2-4.4 / 2023
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