Classici hollywoodiani dalla Cinémathèque suisse

Classici hollywoodiani dalla Cinémathèque suisse

1 ottobre – 6 novembre 2024

CLASSICI HOLLYWOODIANI DALLA CINÉMATÈQUE SUISSE (e non solo)

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Fino a qualche anno fa i cineclub ticinesi erano soliti presentare nella loro programmazione stagionale una rassegna a scadenza mensile dedicata ad autori, tendenze o generi della storia del cinema. Poi, in seguito alla pandemia e alla riorganizzazione dell’attività, questa abitudine è stata abbandonata. Ma ciò non significa che sia venuta meno l’attenzione al cinema del passato, che è sempre rimasta, accanto alla volontà di presentare film contemporanei spesso ignorati dalla distribuzione commerciale, una priorità del nostro lavoro. Basta dare un’occhiata ai nostri archivi per rendersene conto. E così, dopo aver spulciato il sito della Cinémathèque e la sua lista dei film in distribuzione, abbiamo individuato alcuni percorsi che ci avrebbero permesso di organizzare delle rassegne specifiche sulla storia del cinema. Fra questi ne abbiamo dapprima privilegiato uno sui classici hollywoodiani: sei film, da Buster Keaton (The Navigator, 1924) a Fritz Lang (Beyond a Reasonable Doubt, 1956), che siamo lieti di presentare in questa rassegna in versioni restaurate in digitale. A questi ne abbiamo voluto aggiungere altri due: a Lugano un capolavoro del muto italiano, Rapsodia satanica, 1917, di Nino Oxilia (copia restaurata a cura della Cineteca di Bologna a partire dall’unica copia in pellicola esistente presso la Cinémathèque suisse); e a Bellinzona F for Fake, 1974, disincantata riflessione sull’arte e sul cinema di Orson Welles, regista dai burrascosi rapporti con Hollywood e che ha prodotto i suoi ultimi film fuori dal sistema. Il futuro ci riserverà, sempre attingendo al bacino della Cinémathèque, altri percorsi attraverso cinematografie del passato, dalla Francia alla Svizzera. Per ora godiamoci o rigodiamoci questi gioielli, capaci di farci assaporare tutta la magia di un cinema perfettamente orchestrato dalla macchina produttiva hollywoodiana (e non solo!).

Michele Dell’Ambrogio, Circolo del cinema Bellinzona

 

 

Mercoledì 16 ottobre 2024

THE NAVIGATOR (Il navigatore) – USA 1924

regia Buster Keaton, Donald Crisp; con Buster Keaton, Kathryn McGuire, Noble Johnson, Frederick Vroom.

muto; didascalie in francese; musicato; bianco e nero; 70’

Un giovane milionario si trova solo con la ragazza che ama (e che non voleva saperne di sposarlo) su una nave che va alla deriva nei mari del Sud. Risolto il problema della sopravvivenza, c’è quello dei cannibali…

Keaton e Crisp sfruttano alla perfezione lo spazio chiuso della barca, dove l’azione è coreografata con precisione cronometrica: abbandonati sulla nave, i due personaggi impiegano paradossalmente molto tempo prima di incontrarsi e questa trovata innesca una bellissima serie di gag sul tema della paura (indimenticabili alcune espressioni di Keaton, lampante negazione di chi lo voleva una “faccia di pietra”). Il classico tema della lotta contro gli oggetti dà luogo a una serie di soluzioni surreali: dall’aragosta usata come tenaglia al sistema di pulegge che permette di cucinare.

 

Mercoledì 23 ottobre 2024

NOTHING SACRED (Nulla sul serio) – USA 1937

regia William A. Wellman; con Carole Lombard, Fredric March, Walter Connoly, Charles Winniger, Sig Ruman…

v.o. inglese; st. francese; bianco e nero; 71’

Giunta a New York spesata dal quotidiano Morning Star, che vorrebbe fare un servizio esclusivo sulla sua malattia, la contaminazione da radio, Hazel Flagg (Lombard) in realtà è solo vittima di una diagnosi sbagliata dal dottor Downer (Winninger) e ne è ben consapevole. Ma non rivela l’errore per non perdere il viaggio gratis. A farne le spese rischia di essere il cronista di punta del giornale, Wallace Cook (March), a cui il capo Oliver Stone (Connoly) sembra non concedere più altre opportunità. Ma la reputazione di un giornale può essere salvata in molti modi…

Una commedia nera scatenata sul mondo del giornalismo (“satira screwball” l’ha definita Pauline Kael) che inanella battute a raffica sull’equivoco della malattia, caustica sia nella descrizione del mondo cinico della grande metropoli, sia di quello gretto e allucinatorio della provincia (il Vermont dei primi quindici minuti “è l’American Gothic di Grant Wood che ha preso improvviso movimento”). Ben Hecht, autore della sceneggiatura, usa i  personaggi come pedine di un grande gioco e non si prende troppo sul serio, ma è impietoso nello smascherare il cinismo e il conformismo del quarto potere. Imprevedibile il finale “immorale” sulla nave da crociera. Non mancano l e inquadrature spiazzanti, tipiche del regista, come quella del dialogo dei due protagonisti ripreso inquadrando il grosso ramo di un albero che li copre o quello del bacio in cui la macchina da presa “si fissa” solo sulle gambe degli amanti. Musiche di Oscar Levant. Tra le prime produzioni indipendenti di David O. Selznick. Rifatto nel 1954 da Norman Taurog (Living It Up – Più vivo che morto).

 

Mercoledì 30 ottobre 2024

LOVE AFFAIR (Un grande amore) – USA 1939

regia Leo McCarey; con Irene Dunne, Charles Boyer, Maria Ouspenskaya, Lee Bowman, Astrid Allwyn…

v.o. inglese; st. francese; bianco e nero; 88’

Sulla nave che lo porta a New York, il rubacuori francese Michel Marnet (Boyer) si innamora della cantante di night Terry McKay (Dunne), ma siccome sono entrambi in procinto di sposarsi decidono di darsi appuntamento sei mesi più tardi, al 102° piano dell’Empire State Building (“il posto più vicino al Paradiso che conosca”, spiega Terry), per verificare la forza del loro amore. Ma lei non si presenta all’appuntamento e Michel, che non sa dell’incidente che ha impedito a Terry di mantenere la promessa, oscilla tra la disperazione e il disprezzo verso tutte le donne.

Una delle più celebri storie d’amore hollywoodiane, diventata un cult nella versione che lo stesso McCarey rifece nel 1957 con Cary Grant e Deborah Kerr (Un amore splendido). Eppure, nonostante la popolarità del remake (…), è soprattutto in questo film che risaltano le grandi qualità del regista, perfettamente a suo agio sia nella prima parte, ironica e irriverente (le allusioni sessuali, soprattutto alla vita della “mantenuta” Terry, si sprecano), sia nella seconda, commovente fin quasi alle lacrime. E la doppia visita di Marnet alla madre (Ouspenskaya) è di quelle che lasciano il segno. Nelle intenzioni del soggettista Mildred Cram e del regista doveva essere una storia tragica, con protagonista un diplomatico francese, ma a due settimane dall’inizio delle riprese le pressioni dell’ambasciatore di Parigi (a cui era stata chiesta una consulenza) fece sospendere i preparativi per evitare incidenti diplomatici e gli sceneggiatori Delmer Daves e Donald Ogden Stewart dovettero riscrivere tutto, cambiando professione al protagonista (trasformato in pittore) e soprattutto alleggerendo il tono (scatenando molte ireda parte dei censori del Codice Hays). Sei nomination ma nessun Oscar. Rifatto, oltre che dallo stesso McCarey, anche da Glenn Gordon Caron nel 1994 (Love Affair – Un grande amore).

 

Mercoledì 6 novembre 2024

BEYOND A REASONABLE DOUBT (L’alibi era perfetto) – USA 1956

regia Fritz Lang; con Dana Andrews, Joan Fontaine, Sidney Blackmer, Philip Bourneuf, Barbara Nichols…

v.o. inglese; st. francese; bianco e nero; 80’

Per sostenere la sua campagna contro la pena di morte, l’editore di giornali Austin Spencer (Blackmer) convince lo scrittore Tom Garrett (Andrews), promesso sposo della figlia Susan (Fontaine) ad accusarsi di un delitto. Ma chi deve scagionarlo con un colpo di scena muore improvvisamente.

L’ultimo film americano di Lang, sceneggiato da Douglas Morrow, è una lucida e inquietante riflessione sul nodo centrale di tutta la sua opera: la responsabilità dell’individuo e la fallibilità della nostra idea di giustizia. Portando all’estremo il processo di semplificazione del suo stile, il regista costruisce un perfetto meccanismo a incastro capace di catturare l’intelligenza e l’attenzione dello spettatore per meglio minare le sue certezze, senza rifugiarsi in un relativismo di maniera ma ribadendo l’idea che nessuno può dirsi innocente. Quasi astratto nella sua essenzialità narrativa, il film si rivela anche una lucida riflessione sul potere della “messa in scena”: da parte di Tom Garrett rispetto ai piani di Spencer, ma anche da parte del regista rispetto all’attenzione dello spettatore.

 

Schede sui film tratte da Il Mereghetti. Dizionario dei film 2019, Milano, Baldini+Castoldi, 2018

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